martedì 5 luglio 2011

Eppur si muove...

Trovatevi un luogo tranquillo e silenzioso, dopodiché chiudete gli occhi. State fermi. Immobili. Affinate ogni senso e... ascoltate. Ascoltate non con le orecchie, ma con tutto il corpo, con ogni singola cellula...
Sentite niente? Non intendo un rumore, ma qualcosa che possa ricordare una vibrazione o un movimento. Nulla, allora? Bene. Non preoccupatevi, è del tutto normale. State sperimentando la relatività!
A voi, naturalmente, parrà di essere perfettamente fermi. La Terra è immobile nello spazio, e addirittura potrebbero essere le stelle a ruotarle attorno, e così il Sole e la Luna. Una volta lo si pensava davvero.
Oggi tutti (o quasi) sappiamo che le stelle si muovono rispetto a noi solo apparentemente, poiché il nostro pianeta ruota sul proprio asse ogni ventiquattr'ore, regalandoci una visione a trecentosessanta gradi e in costante mutamento della volta celeste. Inoltre, siamo noi a muoverci attorno alla nostra stella madre, (mentre è la Luna sola a ruotarci attorno), e per fare un giro completo impieghiamo ben 365 giorni e sei ore.
Vi siete mai chiesti quanta strada percorriamo ogni anno? E a che velocità andiamo? Reggetevi forte, allacciate le cinture e preparatevi a un viaggio allucinante.
Per cominciare, la Terra ruota su se stessa a una velocità di 465 metri al secondo (m/s) all'equatore (un m/s equivale a 3,6 chilometri l'ora), facendo percorrere a chiunque si trovi alla latitudine 0 ben 12756 Km al giorno. Per quanto riguarda la velocità di rivoluzione attorno al Sole, i valori oscillano intorno ai 30 chilometri al secondo (km/s), mentre la circonferenza dell'orbita è pari a 925 milioni di chilometri; questa la strada che percorriamo ogni anno!
Quasi un miliardo di chilometri senza nemmeno rendercene conto. Ma non crediate che sia finita quì. Il Sole è parte integrante di quell'ammasso di miliardi di stelle che chiamiamo Via Lattea, la nostra personale e immensa isola cosmica, e assieme a quelle stelle si muove attorno al nucleo galattico (bulge), compiendo un giro completo in circa 200 milioni di anni alla sbalorditiva velocità di 250 km/s! All'incirca, la distanza che percorriamo in una di queste orbite galattiche è di 165000 anni luce, benché in realtà, da che esiste l'essere umano, abbiamo coperto solamente la minuscola frazione di una singola orbita.
Ma anche la stessa Via Lattea si muove, verso una zona della costellazione dell'Idra. Gli astronomi calcolano una velocità di circa 600 km/s, ma la questione è piuttosto complessa, mancando un sistema di riferimento inerziale nello spazio con cui compararla. Perché la velocità abbia un qualche significato è necessario il rapporto con qualcos'altro, e di solito usiamo come riferimento le galassie circostanti (anch'esse in movimento), ma è difficile essere precisi. Se 600 km/s fosse un dato corretto, significherebbe che ognuno di noi percorrerebbe ogni giorno sfrecciando nel cosmo più o meno 51,84 milioni di km, più di 18,9 miliardi di km all'anno! E nemmeno ce ne accorgiamo!!!
Ma perché non ci rendiamo conto di niente? La risposta a questa domanda non è né troppo complessa né misteriosa, e lascio a chiunque voglia investigare la questione la possibilità di farlo per proprio conto. Cercate su internet o usate l'intuito e quelle conoscenze che, se leggete questo blog, dovreste possedere, per svelare l'arcano. Il presente post, in fondo, vuole essere solo una raccolta di dati, stimoli e curiosità che ognuno potrà poi approfondire (e non è detto che in un post successivo non affronti di nuovo l'argomento; magari quando parlerò della velocità della luce e del suo possibile superamento...). Vi propongo solo un paragone, sottoforma di quesito, quale punto di partenza per riflettere: una creatura abissale, ad esempio un pesce lanterna, si rende conto delle immani pressioni cui è sottoposto, e che a noi miseri esseri umani ci stritolerebbero come una pallina da ping pong sotto una pressa?
Ora cambiamo punto di vista.
Se il luogo tranquillo che vi siete scelti è immerso nella natura, è il momento di aprire di nuovo gli occhi e guardarvi attorno. Vedete qualcosa muoversi? Le fronde agitate dal vento, lo scorrere del fiume, la danza tribale degli insetti, gli assolo degli uccelli... Nient'altro? Sicuri? Oh, in realtà c'è molto altro, assai più di quello che la vostra velocità vi consenta di apprezzare.
Velocità, di nuovo. Ogni cosa possiede la propria e talvolta è necessario molto tempo per rendersi conto di qualcosa che accade. Vi faccio un'altra domanda: secondo voi un'effimera, un insetto che vive un solo giorno, quanto può pensare che viva un essere umano? Quale può essere la sua idea di quel che questi giganti pallidi e flosci compiono durante la propria vita? E noi, possiamo concepire la sua?
Le piante si muovono (approfondirò in un prossimo post, nel quale parlerò anche della loro emotività), un movimento aggraziato ma troppo lento perché gli occhi lo colgano: un viticcio, ad esempio, disegna nell'aria un cerchio completo ogni sessantasette minuti. Se trova un appoggio, in venti secondi comincia ad avvilupparlo e in meno di un ora si attorciglia così saldamente da essere difficile rimuoverlo. A questo punto, il viticcio si avvolge a spirale come un cavatappi, e così facendo solleva il tralcio verso di se.
Anche i cristalli si muovono, crescono, formano famiglie, per quanto la questione mineralogica sia un po' diversa e assai più complessa. Pensate soltanto, parlando di geofisica, che la Terra cambia la propria pelle esattamente come fa un essere umano (che perde quotidianamente le cellule morte), ma in tempi infinitamente più diluiti. Il suolo sotto di noi pure si sposta, i continenti navigano sul mantello terrestre spostandosi, lungo le fratture di faglia, di pochi centimetri ogni anno, il che è una delle cause dei terremoti, come anche dell'orogenesi (formazione di catene montuose).
Questi sono solo alcuni esempi. Pensate alla natura che si muove stagione dopo stagione, che lentamente riconquista le aree che abbiamo abbandonato, le nasconde, le inghiotte, le consuma fino a farle tornare ad essere parte di sè, selvagge, immacolate, libere...
Non voglio approfondire ulteriormente (non qui), ma lasciarvi facoltà di esplorare a vostro modo, di guardarvi attorno, di scoprire l'assoluta armonia che regola tali questioni e i singoli indizi che rivelano l'affascinante e invisibile palpito dell'universo... Indagate, se siete curiosi, e ricordate sempre: nulla che esista materialmente può essere immobile, in nessun caso. Io vi do appuntamento su queste pagine, per il prossimo post, e ringrazio di cuore chiunque abbia anche solo scorso questi miei pensieri...

martedì 3 maggio 2011

Qualcuno da ricordare...

Il 20 luglio 1969 l'Eagle, il modulo lunare della missione Apollo 11, toccò il suolo del nostro meraviglioso satellite. L'essere umano, per la prima volta, si ritrovò a passeggiare sulla superficie di un altro corpo celeste; una cosa che, a ben pensarci, ha dello strabiliante. Le immagini furono trasmesse in mondovisione, e i tre uomini che compirono quella fantastica impresa sono conosciuti ovunque. I loro nomi sono rimasti impressi per sempre nella storia: Michael Collins, il pilota del modulo di comando Columbia; Buzz Aldrin, il pilota del modulo lunare; Neil Armstrong, il comandante della missione e il primo uomo a camminare sulla Luna.
Questi fatti sono ben noti a tutti.
Negli ultimi anni, tuttavia, ha visto la luce una versione alternativa della storia, secondo la quale il primo allunaggio (e solo il primo) non sarebbe mai avvenuto. Impossibile, direte, abbiamo visto tutti (chi in diretta, chi in qualche documentario) le immagini di Neil che avanzava con goffaggine in quella polvere bianca, abbiamo udito la sua voce pronunciare la mitica frase: "Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un gigantesco balzo per l'umanità". E non c'è dubbio alcuno che quello che ci dicono, o che ci mostrano, sia vero. Vero? Perchè dubitarne?
Beh, vi dirò che ci sono dei validi motivi. Senza approfondire troppo l'argomento (basta cercare on-line per trovare valanghe di pagine sulla questione) vi dirò che diversi appassionati e ricercatori indipendenti hanno rilevato un singolare numero di anomalie, in quello storico filmato e nelle foto scattate dagli astronauti: ombre sulla superficie della Luna incongruenti o assurde (lunghezze e inclinazioni sballate, come se non fosse il Sole l'unica fonte di luce presente), riflessi strani sui caschi spaziali, assenza totale dello sfondo stellato, e anomalie di altro genere come nella polvere o nella bandiera degli Stati Uniti.
Ora, assumendo tutte queste stranezze, analizzandole con cura ed elaborandole, e considerando al contempo la situazione geopolitica dell'epoca, questi ricercatori non hanno faticato molto a individuare una spiegazione coerente e logica: gli Usa stavano miseramente perdendo la corsa allo spazio contro i russi, i quali erano quasi pronti per conquistare la Luna. L'ultima possibilità era di anticipare la missione dell'Apollo 11, ma non bastava. Occoreva anche assicurarsi il totale successo. E, per farlo, allestirono il più grande spettacolo di tutti i tempi. Girarono in anticipo un finto filmato (c'è chi sostiene che addirittura Kubrick vi avesse partecipato, sulla scorta del successo di 2001: Odissea nello spazio, del '68) e, quando la missione si rivelò fallimentare (punto previsto per l'atterraggio troppo roccioso...) e approfittando della differita nelle trasmissioni, inviarono il finto filmato a un satellite e da quì al mondo intero, spacciandolo come autentico.
Altre stranezze vanno poi a rincarare la dose, come rocce lunari della prima missione (regalate a un altro paese) rivelatesi poi semplici sassi terrestri, oppure il fatto che il filmato originale sia recentemente (e magicamente) spariro dagli archivi nei quali era custodito, forse buttato via per sbaglio (come dicono) o forse...
Non è facile credere a questa storia, ma ad analizzare i dati con totale obiettività si può riscontrare che le anomalie esistono e sono reali e inspiegabili, e la teoria regge molto bene. Il dubbio non può che nascere spontaneo...
Voglio concludere con un'altra storia, una storia che quasi nessuno conosce ma che, nel dubbio appunto, vale la pena far rivivere e concederle un angolo nella nostra memoria.
Il 19 novembre 1969 il modulo lunare Intrepid si separò dal modulo di comando Yankee Clipper, e alle 6 e 54 allunò nell'Oceano delle Tempeste. Era la missione Apollo 12. Gli straordinari uomini che ne facevano parte hanno nomi poco noti: Richard Gordon, il pilota del modulo di comando; Alan Bean, il pilota del modulo lunare; Charles Conrad, il comandante della missione.
Forse, questi sono i veri primi uomini ad aver messo piede sulla Luna. Forse...
... di certo, qualcuno da ricordare...

venerdì 29 aprile 2011

Siete dei sumeri!

Siamo tutti un po’ sumeri. Lo sapevate?
Ci troviamo undici anni dentro al terzo millennio, siamo (leggete saremmo, visto l’utilizzo) tecnologicamente avanzati, guardiamo al futuro, ormai temendo più che sperando, e la maggior parte di noi nemmeno conosce le proprie radici, le proprie origini. È una cosa che mi rende immensamente triste, perché amo la storia, il passato, e penso che non ci sia nulla da cui si possa imparare di più.
Questo è il motivo per il quale oggi voglio parlare della prima civiltà in assoluto della storia dell’uomo, civiltà alla quale dobbiamo l’intera anima della nostra società moderna. Ma arriviamoci con calma…
Prima dell’avvento dei sumeri, l’essere umano era stato per milioni di anni un cacciatore, un raccoglitore, in grado di coprirsi, costruire arnesi con la pietra, disegnare sulle pareti di una caverna, comunicare… a quell’epoca, secondo tutte (e dico proprio tutte) le tradizioni e le mitologie del mondo, la Terra apparteneva agli dèi, esseri superiori, venerati dagli antichi popoli e la cui origine può essere individuata nei nomi e negli appellativi che questi popoli avevano coniato per loro: dèi celesti, signori del cielo, signori delle stelle, serpente delle nubi (Quetzalcoatl), quelli che vennero giù, coloro che giunsero dal il nero oceano (il cosmo?) su conchiglie volanti, e un’infinità d’altri, tutti con riferimenti al cielo e alle stelle. Gli dèi ellenici risiedevano nell’Olimpo, la residenza celeste di Zeus, la cui controparte terrena era il monte Olimpo, in terra greca. In dimore celesti abitavano gli antichi dèi egizi, cananei, fenici, ittiti, assiri, babilonesi, accadi, gli dèi indiani, gli dèi americani (dei popoli Inca, Maya, Aztechi, Olmechi, Toltechi e dei nativi del nord America), gli dèi dell’estremo oriente; e, ugualmente, nei cieli vive il dio cristiano, assieme ai suoi angeli.
In verità, questi panteon divini (quelli perlomeno che riguardano le popolazioni del ceppo indoeuropeo) originano tutti in un unico punto della storia e in un unico luogo: 6000 anni fa, in una terra fertile attraversata da quattro fiumi, due dei quali erano il Tigre e l’Eufrate, una terra chiamata Mesopotamia.
Fino a quel momento, come stavo dicendo, la terra era governata da questi esseri venuti dal cielo, esseri che gli uomini consideravano immortali e dotati di poteri straordinari (nei testi sacri indiani si parla addirittura di “tecnologie” straordinarie e di battaglie nei cieli e sulla terra tra divinità, con mezzi volanti velocissimi chiamati Vimana e armi devastanti, paragonabili solo alle nostre atomiche; interessante è il fatto che tracce di tali antichissime esplosioni, rocce fuse, livelli anormali di radioattività, siano state rinvenute da diversi ricercatori e archeologi proprio in India, oltre che in numerosi altri siti del mondo). Agli dèi era attribuita la creazione dell’uomo stesso. Essi si erano suddivisi la Terra, che fu il loro regno per millenni, e lasciavano che le genti primitive li adorassero come loro creatori.
Poi, quando venne quello che noi oggi chiamiamo Diluvio Universale, probabilmente a causa della vicinanza o dell’impatto di un corpo celeste, gli dèi abbandonarono in massa il pianeta, ma non prima che alcuni di loro si fossero assicurati la sopravvivenza dell'amato figlio, l'uomo, e degli altri animali. Ogni antica tradizione ha, pur con nomi diversi, il suo Noè (Noah, in originale ebraico): Utnapishtim per i sumeri, Deucalione per i greci, Quetzalcoatl, Maconen e Tapi per i popoli sudamericani. E ancora, sempre in Sudamerica abbiamo addirittura un Noa, un Nu-u nelle tradizioni hawaiane e un Nu Wah in quelle cinesi; e questi per citarne solo alcuni.
Quando le acque infine si ritirarono, l’uomo ricominciò a popolare la Terra e ne divenne il nuovo padrone. Le tradizioni ci dicono che gli dèi tornarono ancora molte volte, e aiutarono l’essere umano a risollevarsi, donandogli le conoscenze e insegnandogli i fondamenti di una civiltà quali la coltivazione, l’allevamento, la costruzione di case e templi, la scrittura, ecc.
E arriviamo così al popolo di Sumer (Shumer, in originale), circa seimila anni fa.
Dopo milioni di anni di lentissima evoluzione, la prima civiltà sbocciò con tale rapidità da lasciare interdetti tutti gli studiosi. Nel giro di una manciata d’anni, i sumeri acquisirono dal nulla (senza alcuna preparazione precedente), elevate conoscenze in ogni campo del sapere, in primis la scrittura (la prima al mondo), senza la quale non avrebbero potuto raggiungere un tale grado di civilizzazione (ed è grazie alle migliaia di tavolette d’argilla ritrovate, incise in caratteri cuneiformi, che oggi sappiamo tanto su di loro). Prendevano nota di ogni cosa, ogni fatto, ogni transazione, ogni sapere, e furono i primi in tutto. Erano in grado di costruire grandi templi (Ziggurat) e possedevano avanzate conoscenze nell’architettura e nell’edilizia ( idearono i primi archi a volta e una sorta di “cemento armato”, fatto d’argilla irrobustita con canne tagliate o paglia). Costruivano città. Erano esperti in biologia, avevano una medicina estremamente avanzata (fino a comprendere interventi al cranio), e così il loro sistema legislativo (la prima bicamerale, la prima promulgazione di leggi). Sapevano fondere e plasmare i metalli e a loro si deve l’invenzione del forno. Producevano gioielli, una gran varietà d’utensili, vasellame decorato, stoffe assai belle, statuette, sculture, armi. Incidevano cilindri di roccia molto dura con disegni in negativo, per poi passarli sulle tavolette d’argilla bagnata ed imprimere così il positivo; in pratica, la prima forma di stampa! Facevano i loro conti con un sistema chiamato sessagesimale (il nostro è il decimale), basato sul sei e sul dieci, il loro sessanta (6x10) equivaleva al nostro cento (10x10) e con questo metodo di calcolo suddivisero la circonferenza in 360° (60x6), il giorno in 24 ore (6x4) e l’ora in sessanta minuti; anche il calendario di dodici mesi (6x2) è una loro invenzione, e tracce del loro sistema di conteggio si palesano ancora oggi in cose come la misura anglosassone del piede, con le sue dodici once, o il concetto di dozzina. Avevano scuole (sono state rinvenute tavolette piene di esercizi), in cui si insegnavano ai ragazzi la scrittura, la matematica, le scienze, le arti. Avevano un gusto raffinato e abbondante ricchezza in fatto di abbigliamento e acconciature. Inventarono la ruota. Avevano una mitologia e una cosmogonia complessa, dalle quali derivarono quelli delle civiltà successive come quella greca e quella romana; anche il nostro Antico Testamento vi trova radici profonde. Avevano approfondite e accurate conoscenze di astronomia, e già all’epoca erano a conoscenza di tutti i pianeti del sistema solare e suddividevano il cielo in costellazioni (dodici). Inventarono la navigazione, e il collegamento tra le città e il commercio erano garantiti dai fiumi. Addomesticarono il cane, la capra, la pecora, il maiale, il bue (che usavano anche per spostarsi) e moltissime piante, tra cui grano, orzo e altri cereali, l’albicocco, il ciliegio, e poi lo zafferano, il comino, il croco, la mirra; e ancora, cipolle, lenticchie, fagiolini, cetrioli, cavolfiori, lattuga, uva. Producevano vino e birra, pane, dolci, focacce, biscotti, yogurt, burro e panna e la loro cucina era assai variegata, comprendendo carne e pesce. Componevano canzoni, musica (la scala eptatonica-diatonica, propria della nostra moderna musica, è anch’essa una loro invenzione) e poesie, dalle quali traspare una sensibilità assai simile alla nostra.
Ecco la ninna-nanna scritta da una madre per il figlioletto malato:

Vieni, sonno, vieni dal mio bambino.
Fallo addormentare presto;
fa’ acquietare i suoi occhi senza pace…

Lo so, tu soffri, figlio mio;
e io soffro con te, sono ammutolita dal dolore,
e guardo in alto le stelle.
La luna nuova illumina il tuo volto;
l’ombra spargerà le tue lacrime.
Dormi, dormi tranquillo…

Possano le dee della crescita essere dalla tua parte;
che tu possa avere un custode efficace nel cielo;
e raggiungere un regno di giorni felici…
Possa una moglie essere il tuo sostegno
e un figlio la tua eredità futura.

E ora una poesia/ricetta che esalta la buona tavola:

Nel buon vino da bere,
nell’acqua profumata,
nell’olio genuino,
quest’uccello ho cucinato,
e poi l’ho mangiato.

E, per concludere, alcuni proverbi sumeri:

Chi possiede molto argento forse è felice;
Chi possiede molto orzo forse è felice;
Ma chi non possiede nulla, lui sì che dorme sonni tranquilli!

Non è il cuore che porta all’inimicizia;
è la lingua che porta all’inimicizia.

In una città senza cani da guardia
è la volpe a sorvegliare.

Le invenzioni dei sumeri non sono certo finite qui, ma sarebbe davvero troppo lungo approfondire oltre. Ora forse potrete scorgere un antico scriba dietro a un semplice impiegato, o un musicante sumero, ascoltando Lady Gaga, e magari ricordare le vostre origini anche solo guardando un orologio o consultando il calendario, o facendo qualche coccola al vostro amico cane.
Molti studiosi ritengono che l’uomo sia assai più avanzato di quanto dovrebbe e trovano ancora inspiegabile la civilizzazione dei sumeri e la sua repentinità. Quale input, 6000 anni fa, ha fatto progredire l’essere umano, fino a quel momento confinato in caverne e vestito di pelli, e ha fatto in modo che io oggi fossi qui a scrivere e voi a leggere?
I sumeri ci dicono che furono gli dèi a insegnargli tutto quel che sapevano, e addirittura che i loro re e i loro eroi erano di origine semidivina, figli di esseri provenienti dalle stelle.
Molto probabilmente è così (è quello che personalmente credo). Quel che per ora resta certo, è che noi siamo tutti figli di Sumer…


Se volete approfondire l’argomento, vi rimando alla lettura dei trattati di Zecharia Sitchin. In particolare “Il pianeta degli dèi” e “L’altra genesi”.

venerdì 22 aprile 2011

Limiti

Ne esistono? Ne abbiamo? Fin dove possiamo arrivare e da cosa dipende?
Domande difficili cui rispondere, contraddittorie, per le quali un'obiettività schietta forse non basta. In fondo, la capacità di riconoscere e comprendere i nostri limiti dovrebbe essere limitata appunto dagli stessi. Come può un uomo, dopotutto, sapere se sopravvivrà attraversando un deserto sconosciuto senza sapere nemmeno quanto il deserto sia grande o quale sia la sua vera forma. Nemmeno potrebbe sapere in che punto esatto si trova, e tutto quel che potrà dire sarà solo che quella piana di sabbia s'estende fin dove l'occhio può arrivare. Oltre, chissà, forse non c'è niente...
Ma è davvero così? Naturalmente no. L'essere umano è in grado di fare cose che apparentemente nessun'altra creatura della Terra è in grado di fare: prevedere, prospettare, ipotizzare, intuire (nel senso illuminante del termine), razionalizzare, intessere ragionamenti logici e dedurre logiche conseguenze, immaginare l'oltre e il dopo.... Tutte cose, naturalmente, intimamente legate al grado di conoscenza che si possiede ma non da esso limitate: un uomo che non abbia mai appreso una forma di linguaggio, ad esempio, non penserebbe certo parole, come facciamo noi continuamente, ma ragionerebbe per concetti. Questo, tuttavia, non toglierebbe nulla a nessuna delle capacità che ho menzionato, per cui l'uomo resterebbe essenzialmente tale anche privato della sapienza.
Ma allora qual'é l'origine di questo complesso di meraviglie che chiamiamo intelligenza? E perché mai alcune persone sono più intelligenti di altre? E ancora, perché l'intelligenza non sembra essere ereditaria come invece altri tratti, ad esempio la personalità?
La scienza moderna vi direbbe che la risposta alla prima domanda è da ricercarsi nella grandezza del nostro cervello; nello spessore della corteccia e nell'estensione della sua superficie, ad essere precisi, e nel conseguente elevato numero di circonvoluzioni. Ma in questo caso, cosa ci distinguerebbe da un delfino, le cui caratteristiche cerebrali non hanno nulla da invidiare alle nostre? Certo, i delfini hanno un linguaggio e comportamenti estremamente complessi e variegati, eppure qualcosa li differenzia radicalmente da noi: la loro elevata intelligenza non è supportata da un adeguata evoluzione fisica, mani in grado di costruire, un corpo in grado di permettergli di esplorare quel ch'esiste oltre il loro mondo, sulla superficie dei continenti, e magari oltre essi, nell'infinità del cosmo, così da apprendere e imparare sempre di più...
Potrebbe essere una questione di ambiente, ma il vivere in acqua, secondo voi, potrebbe davvero limitare l'inarrestabile forza dell'evoluzione? Potrebbe essere una questione di tempo e volercene ancora molto, ma il rapporto cervello/corpo sarebbe comunque esageratamente sproporzionato (provate solo a pensare al cervello di un uomo racchiuso nel limitante corpo di un pesce).
Penso, in realtà, che i delfini non abbiano di questi dilemmi e che siano felici così come sono, imprigionati (al contrario di noi, o quantomeno considerando le nostre potenzialità) nel loro mondo. Ma perché è così? Se gli interessasse davvero uscire dall'acqua ed esplorare (e così acquisire conoscenza e migliorarsi), forse a quest'ora l'avrebbero già fatto. Ancora una volta, cosa ci rende tanto unici?
La risposta potrebbe forse essere la nostra ferrea e inconscia certezza che esista qualcosa d'altro, qualcosa di più grande, il nostro obiettivo divino. Noi tendiamo (o quantomeno tenderemmo, se non fossimo tanto stupidi) a perfezionarci, a migliorare noi stessi, a voler conoscere ogni cosa (spinti dalla pura curiosità, un istinto che condividiamo con ogni specie esistente, lo sprone primario) come se dovessimo raggiungere chissà quale traguardo, ci poniamo un'infinità di domande alle quali non manchiamo di cercare una risposta, rischiamo perfino la vita, pur di sapere quel che si cela nello sconosciuto (certi che qualcosa ci sia), oltre i nostri confini, oltre i limiti...
Un quid supplementare, dunque, che c'innalzerebbe a specie suprema del pianeta (l'immensa stupidità di cui facciamo sfoggio è un'altra questione; parlo di condizioni ideali e qualità potenziali), tanto da essere in grado di governarlo a nostro piacimento e scegliere di esserne i custodi o i razziatori; qualcosa che c'induce a porci domande che nulla hanno a che fare con la concretezza della vita, domande esistenziali, filosofiche, teologiche, apparentemente senza risposta e dietro le quali, forse, nessun altro essere del pianeta perderebbe il proprio prezioso tempo; qualcosa che ci permette d'intuire la struttura che si nasconde al di là delle cose, e dentro noi stessi, le regole che reggono l'intero universo, e di indagarle e conoscerle con fame vorace, come a doverle imparare a tutti i costi per poterle un giorno mettere in pratica... e, in tal senso, ogni nuova acquisizione non farebbe altro che avvicinarci al divino...
Il mio pensiero in proposito è facile da intuire, e in futuro non mancherò di approfondire l'argomento. Per il momento spero che queste parole possano ispirare qualcosa, innescare qualche piccola riflessione (in qualunque direzione portino), aprire una minuscola finestra su un luogo magari nuovo e inesplorato, un luogo oltre i limiti...

 Anche oggi vi lascio una poesia. Spero vi piaccia.


Ricordi

Verde era l’erba,
acerbo l’imberbe,
delicato era il suono,
buono il cioccolato...
L’uomo pensava al passato morente,
l’animo dolente, la vita che passava.
La foglia ormai gialla s'abbandona al vento,
in un cader lento, nella gelida morte balla... 

sabato 16 aprile 2011

Contatto...

Il mio primo blog in assoluto. In fondo è un'emozione.
Sono Spirit. Mi piace immaginarmi come un pensatore, uno studioso, un'artista, un'essere di spirito che s'arrabatta come meglio può per cercare la verità in quest'assai complicata esistenza... sapete, la verità non è poi così difficile da scorgere, è sempre là fuori, così com'è in ognuno i noi, solo che purtroppo al giorno d'oggi è assai nascosta, celata da una sempre più dilagante cortina d'ottusità; è nella trama del mondo, nel respiro del vento, nel canto della natura, nella luce delle stelle, è nel palpito d'un cuore e nel pensiero d'un uomo, negli occhi di una nuova vita e nelle lacrime per una nuova morte... la verità è tutto, è il collante dell'universo, la regola che ne regge la struttura, l'insieme di leggi che ne determina l'evoluzione.
Queste leggi sono da sempre ben visibili a chi osserva ogni cosa con gli occhi dello spirito, con pensiero logico e cuore aperto, sono evidenti e alla portata di chiunque, e chiunque saprà interpretarle secondo il proprio grado di evoluzione o le proprie conoscenze. Sono verità che non possono essere insegnate ma solo apprese, perché solo così se ne consegue il significato profondo e se ne comprende il senso.
Da millenni l'uomo vi ha scorto intelligenza ed estrema saggezza e, per quanto le attuali religioni (a parte il buddismo e alcuni rami dell'induismo) siano il male più grave per quel che riguarda lo sviluppo spirituale dell'umanità (uno spirito non può esplorare ed evolvere se è relegato in dogmi, se è ancorato a certezze) è innegabile l'esistenza di un'ente supremo, infinitamente saggio, infinitamente benevolo, totalmente svincolato da tempo, spazio, entropia, evoluzione, proporzioni, cicli, tanto quanto un pittore surrealista sarebbe slegato dalle regole prospettiche applicate ai suoi dipinti, o un bambino dalle leggi del formicaio sottovetro che ha creato per l'esercizio di scienze.
Tale ente, che non mi piace chiamare Dio quanto invece Creazione, è l'esatta misura del potenziale massimo presente in ogni essere umano, è in noi tanto quanto noi siamo in esso, e tali siamo in grado di diventare. "Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per fare i miracoli della cosa una." Così insegnava nella Tavola di smeraldo Ermete Trismegistus, uno dei più grandi sapienti che l'umanità abbia mai avuto, e questa frase è una delle più profonde verità cui l'intelletto umano sia mai giunto, ma anche una delle più evidenti. Ogni cosa rispecchia qualcos'altro: sistemi atomici e sistemi planetari, cicli astronomici e cicli vitali, frattali, formazioni cristalline, ogni cosa è nel piccolo com'è nel grande; una goccia e un oceano sono identici nella sostanza, e così l'uomo e la Creazione...
Sono quì a scrivere queste righe per condividere i miei pensieri (penso che la condivisione sia una delle basi più importanti della conoscenza; solo da essa, pur se all'inizio confusa, può emergere la verità). Mi piace l'immagine di un sasso gettato in uno stagno, le onde che si allargano sulla superficie e il suono che si espande sopra e sotto l'acqua, stimolando alcuni cambiamenti nell'area, facendo muovere qualche pesce o qualche insetto, facendo saltar via una rana. In realtà, più che un sasso mi sento una piccola e silenziosa goccia d'acqua che sta per raggiungere la superficie e ha paura di smarrirsi per sempre senza aver assolto a un vero scopo; per fortuna, nonostante vari di molto la proporzione, il concetto non cambia: voglio provare comunque, voglio iniziare a creare delle onde intorno a me, per quanto minuscole e leggere potranno essere.
Quel che però davvero mi piacerebbe è una bella pioggia. Pensate, la superficie di quello stagno tempestato da milioni, miliardi di goccioline, pensate a quali cambiamenti potrebbero portare...

Concludo il mio primo post lasciandovi con una piccola poesia. Probabilmente non sarà un granché ma ultimamente mi sto divertendo molto a scriverne e c'è un po' di me anche in esse. Potrebbe anche diventare una consuetudine... Questa è una delle mie prime creazioni e, per il momento, una delle mie preferite.
S'intitola:

Nel vento


Parla il grano. Dal campo sterminato
un messaggio è volato. Che giunga lontano.
Che cavalchi i venti, sorvoli le foreste,
che superi le creste, i paesi, i continenti.
Che accarezzi le orecchie d’una persona buona
che sappia apprezzarne il senso profondo,
di quant’unico e prezioso sia il nostro mondo,
del cui perfetto reame non meritiam la corona.
Parla il grano. Vuol dire qualcosa.
Una rima, una prosa, un canto lontano…